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venerdì 2 febbraio 2007

giovedì 18 gennaio 2007

sabato 13 gennaio 2007



LATINO:
cicerone-orationes-pro milone

I. [1] Io temo, giudici, che sia un disonore provar paura quando ci si accinge a parlare in difesa di un uomo dallo straordinario coraggio, e - visto che proprio Tito Annio si dà pensiero più della salute dello stato che della propria, ritengo del tutto disdicevole non poter esibire a sua difesa una pari grandezza d'animo: è tuttavia questa forma inconsueta di un processo inusitato a terrorizzare i miei occhi, che ovunque si volgano vanno in cerca dell'antico aspetto del foro e della primitiva procedura giudiziaria [2] Il tribunale in cui voi sedete non è più attorniato, come di solito avviene, da una cerchia di ascoltatori, né siamo più premuti dalla folla abituale: quelle truppe che scorgete davanti a tutti i templi, per quanto lì schierate al fine di prevenire atti di violenza, incutono comunque una certa paura ad un oratore; sicché, sia pur circondati nel foro e nel tribunale da misure di protezione salutari e indispensabili, tuttavia non possiamo neppure starcene tranquilli e deporre ogni motivo di timore. Se le ritenessi prese contro Milone, mi arrenderei alla necessità del momento, giudici, perché non potrei credere che vi sia spazio per un discorso in un tale spiegamento di forze. Mi rassicurano, però, e mi confortano le intenzioni di Pompeo, uomo molto saggio e retto: egli certamente non riterrebbe conforme al suo senso di giustizia consegnare alle armi dei soldati chi ha affidato in qualità di accusato alle decisioni dei giudici, né conforme alla sua saggezza affidare il sostegno della propria autorità di uomo pubblico al furore di una folla eccitata[3] Per tale motivo quelle armi, quei centurioni, quelle coorti non annunziano un pericolo, ma un aiuto per noi; ci esortano non solo alla calma, ma addirittura al coraggio, e alla mia difesa garantiscono il silenzio oltre all'appoggio. Quanto al resto della folla - composto, in verità, di veri cittadini - esso è interamente dalla parte nostra e non c'è uno fra quelli che vedete rivolgere lo sguardo verso di noi - da qualunque luogo si possa scorgere un settore del foro - e attendere l'esito di questo processo, che da un lato non favorisca il comportamento coraggioso di Milone, dall'altro non pensi che oggi sono in gioco la sorte sua e dei propri figli, della patria e dei suoi beni.

II. C'è un solo genere d'uomini a noi avverso e ostile: quelli che la follia di Publio Clodio ha nutrito di rapine, di incendi, di ogni tipo di pubblici disastri: anche nell'assemblea di ieri essi sono stati incitati a suggerirvi con le loro urla la sentenza che dovete emettere. Se si leveranno le loro grida, dovranno essere per voi di monito a conservare tra noi quel cittadino, che ha sempre disprezzato un tale genere di uomini e i loro furibondi schiamazzi a confronto della vostra salvezza

TRADUZIONE CICERONE-IN CATILINAM II

1 Finalmente, Quiriti, Lucio Catilina, pazzo nella sua audacia, ansante nel suo crimine, empiamente teso a ordire la rovina della patria, a minacciare col ferro e col fuoco voi e questa città, lo abbiamo cacciato da Roma, o, se volete, lo abbiamo lasciato partire, o, meglio ancora, lo abbiamo accompagnato alla partenza con i nostri saluti. È andato, partito, fuggito, sparito. Quell'essere spaventoso non provocherà più alcuna catastrofe dentro le mura contro le stesse mura! Lui, il solo capo della guerra civile, lo abbiamo vinto: non ci sono dubbi. Il suo pugnale non ci insidierà più al fianco. Nel Campo Marzio, nel Foro, nella Curia, tra le pareti domestiche non saremo più in preda al terrore. Cacciandolo dalla città, gli abbiamo fatto perdere la sua posizione. Apertamente, ormai, combatteremo contro il nemico una guerra regolare: nessuno ce lo impedirà. È indiscutibile che lo abbiamo annientato con una vittoria strepitosa, costringendolo a uscire da trame occulte e a portare allo scoperto la sua azione di bandito2 Non ha levato in alto una spada lorda di sangue, come voleva. Se n'è andato e noi siamo vivi. Gli abbiamo strappato il ferro dalle mani. Ha lasciato incolumi i cittadini e in piedi la città. Vi rendete conto di come sia abbattuto, prostrato da questa delusione? Ora è a terra vinto, Quiriti, si sente colpito e annientato e di certo volge spesso gli occhi a questa città che gli è stata strappata dalle fauci e se ne dispera. Ma la città mi sembra lieta di aver vomitato un male così grande, di averlo espulso da sé. 3 Se, poi, a proposito del motivo per cui le mie parole_ esultano e trionfano, qualcuno, spinto da sentimenti che dovrebbero essere unanimi, mi accusasse duramente di non aver fatto arrestare un nemico così mortale, ma di averlo lasciato partire, gli risponderei che la responsabilità non è mia, Quiriti, ma delle circostanze. Da tempo si doveva eliminare Lucio Catilina, condannarlo alla pena capitale: me lo chiedevano la tradizione avita, l'autorità dei miei poteri e l'interesse dello Stato. Ma quanti non avrebbero creduto ai fatti che denunciavo? Provate a pensarlo! Quanti li avrebbero persino giustificati? [Quanti li avrebbero sottovalutati per stoltezza?] [Quanti li avrebbero favoriti per disonestà?] Ma se, eliminato lui, mi fossi convinto di stornare da voi ogni pericolo, da tempo avrei ucciso Lucio Catilina non solo a rischio di suscitare la vostra disapprovazione, ma anche a rischio della mia vita.>
4 Mi rendevo conto, però, che se lo avessi condannato a morte, come meritava, quando neppure per tutti voi il fatto era provato, non avrei potuto perseguire i suoi complici sotto il peso dell'impopolarità. Allora ho agito in modo che voi poteste combatterlo apertamente, perché vi era chiaro chi fosse il nemico. E quanto io ritenga temibile un nemico che non è più qui, potete capirlo, Quiriti, dal dispiacere che provo nel constatare che è partito dalla città con pochi uomini. Magari avesse portato con sé tutte le forze! Invece mi ha portato via Tongilio, che indossava ancora la pretesta quando si invaghì di lui, Publicio e Minucio, indebitati a tal punto nelle bettole da non poter scatenare nessuna rivoluzione! Che uomini ha lasciato! Con che debiti! Che nomi autorevoli e illustri!


5 E così, se confronto il suo esercito con le nostre legioni stanziate in Gallia, con gli uomini arruolati da Quinto Metello nel Piceno e in Gallia, con le truppe che addestriamo ogni giorno, non nutro che profondo disprezzo per quell'accozzaglia di vecchi disperati, di spacconi di campagna, di falliti di provincia, di gente che ha preferito disertare il tribunale per debiti piuttosto che un simile esercito. Basterà che li metta di fronte non dico ai nostri soldati, ma all'editto del pretore, e crolleranno tutti.
Questi qui, invece, che vedo aggirarsi nel Foro, stare davanti alla Curia o addirittura presentarsi in Senato, che brillano di unguenti e sono smaglianti nella loro porpora, avrei preferito che se li fosse portati dietro come soldati. Se rimangono qui, ricordatevelo, questi che hanno disertato l'esercito saranno ben più temibili dell'esercito stesso di Catilina! E bisogna temerli in misura maggiore perché non ignorano che io sono a conoscenza dei loro complotti, ma restano imperturbabili

6 So a chi è stata assegnata la Puglia, chi controlla l'Etruria, chi il Piceno, chi la Gallia, chi ha richiesto per sé l'organizzazione degli attentati in città, cioè stragi e incendi. Sanno che mi sono stati riferiti tutti i loro programmi dell'altra notte: li ho denunciati in Senato, ieri. Persino Catilina è stato preso dal panico, è fuggito. E loro, che cosa aspettano? Sbagliano davvero se si illudono che l'indulgenza che ho mostrato in passato sia eterna!
IV Quel che mi ero proposto, ormai l'ho conseguito: avete perfettamente chiaro che è stata organizzata una congiura contro lo Stato. O qualcuno ritiene che gli amici di Catilina nutrano altri propositi? Ormai non c'è più posto per l'indulgenza! È la situazione a richiedere fermezza. Farò solo una concessione: se ne vadano, partano, non lascino che Catilina si strugga nella loro mancanza! Mostrerò la strada. È partito per la via Aurelia; se si sbrigano, lo raggiungeranno verso sera.

7 Che fortuna per lo Stato, se si libererà da questa fogna! Gli è bastato ripulirsi solo di Catilina e mi sembra abbia acquistato serenità, fiducia. Quale delitto, quale crimine è possibile pensare, immaginare che Catilina non abbia compiuto? C'è, in tutt'Italia, avvelenatore, assassino, bandito, sicario, omicida, falsificatore di testamenti, truffatore, dissoluto, scialacquatore, adultero, prostituta, corruttore della gioventù, corrotto, vizioso che non ammetta di essere stato intimo amico di Catilina? Quale assassinio, in questi anni, è stato compiuto senza di lui? Quale nefanda violenza se non per mano sua?

8 Chi mai ha esercitato un simile potere di seduzione sulla gioventù? Amava gli uni nel modo più turpe, serviva gli altri in ignominiosi desideri, prometteva agli uni il frutto delle passioni, agli altri la morte dei genitori: lo faceva non solo con la promessa, ma anche con l'aiuto materiale. E adesso, con che rapidità è riuscito a raccogliere un gran numero di disperati dalla città e addirittura dalla campagna! Chiunque fosse oberato di debiti, a Roma come in ogni angolo d'Italia, lui lo ha fatto entrare in questa inaudita congrega di criminali.

9 E perché possiate farvi un'idea della sua versatilità in campi diversi, nelle palestre non c'è gladiatore un po' più temerario nell'azione che non confessi di essere amico di Catilina; sulla scena, non c'è attore un po' più infido e depravato che non affermi di essere quasi un suo compagno. E lui, abituato dalla pratica di violenze e crimini a sopportare freddo, fame, sete e veglie, si è conquistato la fama di duro proprio tra questi individui, consumando le risorse della sua intraprendenza e le sue forze interiori nel sesso e nel delitto.

10 Se i suoi complici lo avessero seguito, se le infami schiere di questi disperati avessero lasciato Roma, che gioia per noi, che fortuna per lo Stato e che magnifica gloria per il mio consolato! Le loro passioni, infatti, superano ormai la misura. La loro sfrontatezza non è umana, non è sopportabile. Stragi, incendi, rapine sono il loro unico pensiero. Hanno sperperato patrimoni, hanno ipotecato beni; da tempo hanno perso le sostanze, ora iniziano a perdere il credito; ma rimane in loro quella smania di godere che avevano nell'abbondanza. Se nel vino e nel gioco non cercassero che baldorie e prostitute, sarebbero dei casi disperati, eppure sopportabili. Ma chi potrebbe sopportare che degli inetti complottino contro gli uomini più validi, i più stupidi contro i più savi, gli ubriachi contro i sobri, gli storditi contro gli svegli? Individui che bivaccano nei conviti, che stanno allacciati a donne svergognate, che illanguidiscono nel vino, pieni di cibo, incoronati di serti, cosparsi di unguenti, debilitati dalla copula, vomitano a parole che bisogna far strage dei cittadini onesti e incendiare la città.

11 Sono sicuro che sul loro capo incombe un funesto destino e che sia imminente o per lo meno si stia avvicinando quel castigo che da tempo hanno meritato per la loro disonestà, dissolutezza, delinquenza e depravazione. Se il mio consolato, dal momento che non può farli ravvedere, li eliminerà, prolungherà la vita dello Stato non di qualche giorno, ma di molti secoli. Non c'è infatti nazione che temiamo, non c'è re che sia in grado di muovere guerra al popolo romano; all'estero tutto è in pace, per terra e per mare, grazie al valore di un solo uomo. Rimane la guerra civile: è all'interno che stanno i complotti, è all'interno, nel profondo, che sta il pericolo; è all'interno che sta il nemico. Bisogna combattere contro il vizio, contro la follia, contro il delitto. È questa guerra, Quiriti, che mi impegno a condurre, esponendomi all'odio di uomini perduti; risanerò in qualunque modo quel che potrà essere risanato; non permetterò che rimanga a danno della comunità quel che va reciso di netto. Perciò, se ne vadano oppure se ne stiano tranquilli, o, se rimangono in città e non mutano proposito, si aspettino quel che si meritano!

12 Ma c'è anche chi sostiene, Quiriti, che sono stato io a mandare in esilio Catilina. Se potessi ottenere un simile risultato con la parola, manderei in esilio proprio chi avanza simili insinuazioni. Un uomo così timoroso, così pieno di moderazione come Catilina non ha saputo sopportare la voce del console! Non appena gli è stato ordinato di andare in esilio, ha obbedito. Ma ascoltate: ieri, dopo aver rischiato la vita in casa mia, ho convocato il Senato nel tempio di Giove Statore e ho illustrato tutta la situazione ai senatori. Quando Catilina si è presentato, quale senatore gli ha rivolto la parola? Chi lo ha salutato? Chi non lo ha guardato come si guarda un cittadino corrotto, che dico, il peggior nemico? Non solo: i principali esponenti dell'ordine senatorio hanno lasciato completamente sgombro il settore dei seggi a cui lui si era avvicinato.

13 Allora io, il console famoso per la sua veemenza, io che con una parola esilio i cittadini, ho chiesto a Catilina se avesse partecipato alla riunione notturna in casa di Marco Leca o no. Poiché lui, che non ha eguali per sfrontatezza, ma era colpevole di fronte a se stesso, dapprima taceva, ho reso pubblico tutto il resto; ho denunciato che cosa avesse fatto quella notte, cosa avesse stabilito per la notte seguente, come avesse programmato tutta la guerra. Lui esitava, era confuso: allora gli ho chiesto perché non si decideva a raggiungere il luogo dove già da tempo aveva stabilito di recarsi, dove, come sapevo, si era fatto precedere da armi, scuri, fasci consolari, trombe, insegne militari e quell'aquila d'argento cui aveva dedicato un sacello in casa sua.

14 Ho esiliato chi vedevo già muovere guerra? Ma sì, non ci sono dubbi! Questo centurione, Manlio, che ha accampato l'esercito presso Fiesole, a suo nome ha dichiarato guerra al popolo romano! E questo famoso accampamento non sta aspettando Catilina a comandarlo! E Catilina, condannato all'esilio, si sta dirigendo a Marsiglia, come dicono, e non a Fiesole!
VII Compito ingrato governare lo Stato, ma anche salvarlo! Ora, se Lucio Catilina, sentendosi braccato, ridotto all'impotenza dai miei provvedimenti, dai miei sforzi e dai rischi che corro, avrà di colpo paura, muterà avviso, lascerà i suoi, rinuncerà all'idea di far guerra, abbandonerà la strada del crimine e del conflitto per darsi alla fuga, all'esilio, non si dirà che sono stato io a strappargli le armi di un'impresa folle, che sono stato io, con la mia sorveglianza, ad atterrirlo, a paralizzarlo, che sono stato io a vanificare le sue speranze e i suoi tentativi, ma si dirà che non ha avuto un regolare processo, che è innocente, che il console, con la violenza e le minacce, l'ha mandato in esilio. E se farà così, non mancherà chi lo giudicherà una vittima, non un colpevole, e giudicherà me il più crudele dei tiranni, non il più solerte dei consoli.

15 Eppure, Quiriti, credo che valga la pena di subire la tempesta di un'impopolarità falsa e ingiusta, purché sia allontanato da voi il pericolo di una guerra orribile e sacrilega. Si dica pure che sono stato io a scacciarlo, purché vada in esilio. Ma, credetemi, non ci andrà.
Quiriti, non chiederò mai agli dèi immortali, per liberarmi dall'impopolarità, che voi veniate a sapere che Lucio Catilina è alla testa dell'esercito nemico e si aggira armato. Eppure nell'arco di tre giorni vi giungerà questa notizia. Una cosa, tuttavia, temo molto di più: di incontrare un giorno lo sfavore pubblico perché ho permesso che partisse, non perché l'ho esiliato. Ma se c'è gente capace di dire che io l'ho bandito, mentre è partito liberamente, cosa direbbe se fosse stato ucciso?